XVI Domenica «per annum»
(Mc 6, 30 - 34)
Abbiamo assistito alla missione che Gesù affida ai dodici nella zona della Galilea, nella Palestina...sono le prime esperienze pastorali. Dopo la Pasqua avrà luogo la missione universale: andate in tutto il mondo e fate miei discepoli tutte le genti. Per adesso i primi movimenti pastorali. Che devono fare questi uomini? Quello che ha fatto Gesù. Annunciare che il regno di Dio è qui, quindi bisogna cambiar testa, cambiar mentalità, e rendere presente il regno, con dei segni precisi che sono gli esorcismi e le guarigioni. Il mondo cambia, il padrone del mondo non è più lui satana, ma è Gesù che con la sua potenza guarisce i corpi e le anime, e partecipa questo potere a degli uomini mandandoli noi oggi diremo allo sbaraglio, no!, mandandoli nel mondo con la forza dello Spirito Santo, con la potenza di Dio, non basandosi sui mezzi umani, liberi da tutto e da tutti per annunciare il regno e portarlo, perché il regno di Dio è la nostra vita, oggi il Vangelo ci descrive il rientro degli Apostoli da Gesù. E fanno il rendiconto, non una relazione, il rendiconto è il giudizio, rendono conto a Gesù di quello che hanno fatto, e di quello che hanno insegnato. Marco già qui accenna al rendiconto che l'umanità dovrà fare a Cristo soprattutto a noi discepoli, quando egli tornerà nella gloria, di quello che avremo fatto e detto per far crescere il regno di Dio, il compito che ci siamo assunti come cristiani. Ma Gesù vede che sono stanchi, perché hanno faticato veramente, e non tutto certamente è andato liscio come pensavano. E allora li invita in un luogo deserto in disparte per riposare, le ferie dello spirito, ecco il riposo. Una sosta. Per ritemprare le forze, in un luogo solitario nel deserto, dice il testo, e noi sappiamo che il deserto, è il luogo dell'innamoramento di Israele, per il Signore. Usciti dall'Egitto gli Ebrei nel deserto fanno la grande esperienza, dell'amore di Dio. Ascoltano la sua voce e accettano l'alleanza, l'amicizia con lui, un momento fortissimo e più importante della vita degli Ebrei, il deserto. Il silenzio, nell'ascolto e nella risposta amorosa, e questo quello che Gesù vorrebbe fare, e l'espressione "in disparte" rivela quei momenti di intimità, che Gesù si può permettere con i Dodici, lontano dalla folla, in tranquillità, in serenità, Gesù può parlare liberamente, può effondere anche i suoi sentimenti, ma soprattutto rivelare il mondo di Dio. Mentre alle folle parla in parabola, quando sono "in disparte" loro soli, allora Gesù fa altre rivelazioni, porta i discepoli dentro il mistero di Dio. Ma come abbiamo sentito, il progetto va in fumo. Perché mentre Gesù con la barca vuole raggiungere l'altra sponda, a piedi girando attorno al lago, la gente arriva prima di Lui, perché tra l'altro il percorso nonostante tutto è più breve. E quando Gesù scende dalla barca, si commuove, perché vede quella gente, come pecore senza pastore. E si commuove. Questo verbo, nella Bibbia è laica, è un verbo femminile, possiamo dire, perché parla delle viscere, viscere paterne, la mamma che nel suo grembo percepisce le mosse della sua creatura e le sente sensibilmente. Questo verbo è applicato a Dio. Dio si commuove visceralmente, quando vede il popolo in difficoltà. Ho visto il mio popolo in Egitto, sotto la sferza degli aguzzini, e mi sono commosso. Questa commozione non era la rinuncia o un sospiro, questa commozione porta all'azione. Dio interviene, manda Mosè, porta fuori quel popolo dalla schiavitù. La commozione di Dio implica un'azione, un comportamento, un intervento, e abbiamo sentito che Gesù interviene, insegnando, loro molte cose. Sa che il primo bisogno di questa gente, non è soltanto farsi curare dalla lebbra, ma è bisogno di Dio, della sua Parola, e allora Gesù interviene, intanto con l'insegnamento, insegnò loro molte cose. E poi dare loro anche il pasto, il pane del miracolo. Lo sentiremo domenica prossima, il pane che Gesù offre, a questa gente che lo ha seguito. Marco ci parla di queste come di un gregge disperso, senza pastore. E si riferisce alla prima lettura che ci è stata proposta, il profeta Geremia. Geremia parla i pastori di Israele, pastore non è soltanto colui che guidava il gregge, ma il titolo di pastore, lo davano a chiunque avesse un'autorità, il re quindi è il pastore di Israele, i magistrati, i sacerdoti, i capi dell'esercito, chiunque esercitava un'autorità era pastore, perché doveva guidare il popolo, sotto la vigilanza del Signore. Tu sei il mio Pastore, abbiamo cantato all'inizio, il pastore di Israele è Dio. E Dio parla per mezzo di Geremia a questi capi, a questi pastori, che invece di interessarsi del popolo, hanno fatto i loro interessi, spesso in forma di ingiustizia, come possiamo ben immaginare. Allora il Signore dice voi non sarete più pastori, il mio gregge me lo guiderò io. Anzi susciterò a Davide, un germoglio giusto, che regnerà al suo posto; questa profezia di Geremia avviene quando un popolo di Israele è in esilio a Babilonia, siamo dopo il 597 avanti Cristo, il popolo è stato deportato. E i suoi pastori uccisi, o fatti schiavi, tra questi gli ultimi discendenti di Davide, vengono deportati e poi uccisi a Babilonia. Quindi finisce la monarchia. E il Signore promette: "Susciterò a Davide, un germoglio giusto. Una nuova dinastia, un nuovo pastore, eccolo, è venuto il buon Pastore, lo abbiamo sentito, che si commuove, e agisce, dando ai suoi discepoli, l'insegnamento e pane. Quello che il Signore vuol fare anche con noi. E che fa già da questa mattina e come ogni domenica. E penso che anche a noi il Signore, oggi rivolga quella parola, così umana, così bella, così carica di sentimento, venite in disparte, e riposatevi un pò, le ferie dello spirito. Siamo in periodo di vacanze, di ferie, legittime perché c'è bisogno di riposare, dopo mesi di fatica, di lavoro, spesso anche talmente forte da rendere necessaria la pausa. Ma il Signore pensa anche allo spirito, e allora ci suggerisce, per esempio durante le ferie, una sosta anche in un luogo particolare, in un monastero, in un santuario, per qualche ora se non si può di più, di sosta, di silenzio, di preghiera. E poi c'è la sosta delle ferie quotidiane, i monaci e le monache, hanno l'orario che scandisce tutta l giornata, dalla levata, a quando si va a letto. E quindi è tutto stabilito, il momento della preghiera, poi il lavoro manuale, fisico, voleva San Benedetto. Poi lo studio, e così di seguito. Per cui anche l'attività, ad un certo punto viene lasciata, anche il lavoro viene lasciato, per tornare in chiesa, per riprendere la preghiera, il colloquio con il Signore, l'ascolto della sua Parola, e guardare il Signore, a tu per tu. Noi non possiamo fare questo perché non siamo né monaci né monache, e non abbiamo la possibilità di impostare la nostra giornata in un monastero. Però dovremmo fare lo sforzo di trovare nell'ambito della giornata, uno spazio, anche ridotto per isolarci un momentino. O in chiesa, e noi abbiamo grazie a Dio, l'esposizione continua del Santissimo nel Santuario della Madonna del Buon Gesù, dalla mattina alla messa alle 9 fino alla sera alle 19. Quindi il Signore è sempre lì che aspetta. È una sosta ricarica. Molta gente mi ha detto: sono uscita di chiesa e stavo meglio. Certo, perché il Signore ci aspetta per rinfrancarci, per consolarci, per ridarci energia. In quel momento possiamo anche tornare alla lettura della Parola di Dio, dell'Antico e del Nuovo Testamento. Quella parola ci equilibra, ci rida le categorie giuste, ci aiuta a leggere il guazzabuglio della storia, quello che il Signore vuole da noi, una lettura intelligente, che non si limita alla notiziola ma ci fa andare in profondità, allora c'è solo da ascoltare e mettere in pratica questo invito di Gesù: "Venite in disparte, e riposatevi un po’".